‘Leaving Neverland’: Why You Wanna Trip on Me?


Willa: Ciao Lisha. È sempre un piacere parlare di nuovo con te! Anche se vorrei che fosse in circostanze più felici. Sono molto triste per questo documentario su Leaving Neverland.
Lisha: Ciao Willa! Anche per è bello parlare con te, ma credo che siamo tutti profondamente rattristati da questo film.
Willa: Probabilmente hai ragione, anche se intravedo un piccolo barlume di speranza. Ma… non voglio illudermi né essere troppo ottimista, tuttavia mi chiedo se ci sarà davvero un punto di svolta quando i media cominceranno a vedere le prove delle accuse. Nel senso, l’uscita del film a causato delle reazioni con esiti drastici, e ora si scopre che alcune cruciali affermazioni sono false. Quindi mi chiedo se ciò potrebbe portare a una sorta di resa dei conti pubblica e plateale.
Lisha: Lo spero davvero. Non certo come “MJ Reckoning” proposta dalla rivista Slate, con un eccesso di articoli per lo più acritici e in buona fede, ma una risposta ponderata di come le accuse sessuali sono generalmente rappresentate dai media. Le accuse non sono prove di un crimine, quindi dobbiamo essere cauti nell’assumere la colpa sulla base di accuse insinuanti. Soprattutto quando si tratta di somme di denaro considerevoli, come nel caso di procedimenti legali che Wade Robson e James Safechuck hanno intentato contro l’Estate di Michael Jackson.
Willa: Sì, e le nuove prove appena emerse sollevano davvero alcune domande: sia sugli atti giudiziari che  sulle loro dichiarazioni fatte nel film. Ad esempio, James Safechuck sostiene nel suo processo, che Jackson ha iniziato ad abusare di lui nel 1988, quando aveva 10 anni, e ha continuato a farlo fino al 1992, quando aveva 14 anni. E nel film, dice che questo abuso è accaduto spesso nell’edificio della stazione ferroviaria di Neverland:
C’è una stanza al piano di sopra della stazione. Ed è lì che abbiamo fatto sesso. Succedeva ogni giorno. Sembra malato, ma è come quando si inizia ad uscire con qualcuno, giusto? Lo si fa molto spesso. Beh, ecco come è andata.
Comunque, Mike Smallcombe, l’autore di Making Michael: Inside the Career of Michael Jackson, ha controllato e scoperto che la stazione ferroviaria non esisteva all’epoca. Secondo i registri ufficiali della contea, il permesso di costruzione è stato rilasciato nell’autunno del 1993.
Ecco un tweet di Smallcombe sull’argomento, e contiene una foto della concessione edilizia, con la marca da bollo del 2 settembre 1993.
Nelle ultime due ore mi è stato concesso l’accesso alla documentazione sulla concessione di costruzione della contea di Santa Barbara per la stazione ferroviaria di Neverland – approvata il 2 settembre 1993 pic.twitter.com/xjtfvEvsUu
– Mike Smallcombe (@ mikesmallcombe1) 30 marzo 2019
Lisha: Ottimo lavoro di Mike Smallcombe!
Willa: Sono d’accordo! Davvero complimenti per questa approfondita indagine giornalistica.
Lisha: È incredibile come una minima informazione possa mettere in dubbio l’intera storia.
Willa: O almeno solleva la questione del perché Safechuck non dice la verità. E sembra che questa parte della storia non possa essere vera, nemmeno se si tenta di forzare i pezzi del puzzle insieme.
La costruzione della stazione fu completata nel 1994, mentre Michael Jackson non era a Neverland e aveva molto da fare – le accuse di Chandler erano diventate pubbliche, ha passato un po’ di tempo in riabilitazione, ha sposato Lisa Marie Presley, e  ha vissuto a New York. Non si è trasferito a Neverland fino al 1995. Ecco un articolo con altre informazioni, incluso un breve video della stazione di Leaving Neverland.
Quindi, riassumendo la serie dei fatti, i presunti abusi quotidiani potrebbero essere avvenuti nella stazione non prima del 1995, quando Safechuck aveva 17 anni. In risposta al tweet di Smallcombe, Dan Reed, il regista di Leaving Neverland, ha detto che l’abuso si è perpetrato qualche anno in più di quanto ha sostenuto in origine Safechuck. Ecco una screenshot della risposta di Reed.

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Dan Reed: Sì, sembra che non ci siano dubbi sulla data della stazione. Quello che è sbagliato è il periodo della fine degli abusi.
Ecco che Dan Reed si sforza di incastrare insieme i pezzi del puzzle. La stessa cosa fa Cosmopolitan in un recente articolo in cui si dice “Non è raro che esperienze traumatiche sfuggano ai ricordi, comprese le date e i particolari, quando si tratta di vittime”. Posso immaginare che questo sia vero, soprattutto se la vittima è un bambino.
Tuttavia, allargare la forbice del periodo di abuso di altri tre anni, in modo che continui fino al 1995, non solo confonde i tempi: cambia l’intero arco narrativo di Dan Reed, che consiste nel perseguitare i ragazzini di Michael Jackson per poi abbandonarli non appena hanno raggiunto la pubertà. Safechuck sostiene che Michael Jackson ha iniziato a prendere le distanze da lui e a rivolgere la sua attenzione ai ragazzini più giovani quando ha compiuto dodici anni e i primi segni di pubertà sono diventati visibili. E dice che Michael Jackson lo rifiutò dolorosamente intorno ai 14 anni. L’abuso sessuale quotidiano di un diciassettenne non rientra in alcun modo nella storia.
Safechuck, nel film dice che la stazione è stata uno dei primi luoghi in cui sono avvenuti gli abusi: “È un po’ come quando si inizia a frequentare qualcuno, giusto? Lo si fa molto spesso.”  Questo indica la fine degli anni Ottanta, quando Safechuck aveva circa 10 anni. Ma la stazione non esisteva ancora. Non sembra possibile che tutte le affermazioni di Safechuck possano essere vere.
Lisha: Sì, e non bisogna tralasciare, sia Safechuck che Robson dicono di non aver riportato alcun trauma  al momento del presunto degli abusi. Hanno affermato che il trauma sperimentato si è manifestato molto più tardi – dopo aver immaginato che i loro figli fossero stati maltrattati. Non riesco a capire il senso di questa spiegazione. Inoltre, un trauma non migliora la memoria piuttosto che distorcerla? Ricordo la testimonianza di Christine Blasey Ford della scorsa estate, quando ha spiegato che i ricordi di esperienze traumatiche possono essere più vividi rispetto ai ricordi attuali.
Willa: Beh, è ​​complicato. Le persone possono aver subito un trauma senza saperlo – mi spiego, senza essere consapevoli degli effetti che il trauma ha avuto su di loro. Per esempio, i soldati con PTSD non si rendono conto di soffrirne fino alla diagnosi.
A quanto ho capito, i ricordi sensoriali di eventi traumatici possono essere molto vividi, mentre elementi legati alle date o, come nel caso di Christine Blasey Ford, il luogo della casa dove si sono verificati gli abusi o il ricordo del suo ritorno a casa quella notte, possono essere confusi o dimenticati.
Lisha: Proprio per questo la polizia raccoglie regolarmente la deposizione di vittime, testimoni e sospetti di abuso. Se chiedi a qualcuno di fare una dichiarazione ufficiale e raccontare cosa è successo, puoi inchiodare la loro storia e confermarla. Spesso è la prima cosa che fa la polizia: separare tutte le parti conosciute e chiedere loro di ricordare cos’è successo. Sappiamo che i casi di abuso sessuale di minori sono molto difficili da provare perché le prove fisiche del reato stesso sono rare. Quindi sono gli altri elementi della storia che devono essere provati.
Willa: Quando è possibile, ma a volte non ci sono molte prove concrete, soprattutto se le vittime non sono in grado di denunciare anni dopo aver avuto la possibilità di elaborare ciò che gli è successo da bambini. Questo è ciò che rende questi casi così carichi di sfide.
Ho fatto alcune ricerche sulla campagna di sensibilizzazione Start By Believing, di cui condivido e sostengo gli obiettivi: proteggere le vittime di abusi o molestie sessuali da nuove esperienze traumatiche collegate alla storia raccontata, incoraggiare altre vittime a farsi avanti e infrangere il muro di silenzio e della vergogna che circonda la violenza sessuale. Una iniziativa più che lodevole che approvo totalmente.
Ma quando un pubblico ministero considera colpevoli a priori gli accusati di molestie, come ha fatto Tom Sneddon nel 1993 e nel 2003, o come hanno fatto molti media quando è uscito Leaving Neverland, quella presunzione di colpa può portare all’ingiustizia.
Lisha: A questo punto il caso di Michael Jackson può contribuire ad ampliare la conversazione su come distinguere tra false e verificabili accuse di abuso sessuale. Inoltre non è detto che un pubblico ministero dia informazioni accurate o veritiere.
Willa: Purtroppo, è vero. E non riguarda solo Safechuck. Smallcombe ha raccolto anche delle prove che contraddicono il racconto di Wade Robson. Nel documentario, Robson afferma di essere stato abusato per la prima volta nel 1990, quando aveva 7 anni e la sua famiglia lo lasciò a Neverland mentre loro andarono al Grand Canyon. Tuttavia, Smallcombe ha scoperto una deposizione del 1993 in cui la madre di Wade, Joy, non solo, dichiara che tutta la famiglia andò al Grand Canyon, ma di aver lasciato Wade da solo con Jackson tre anni dopo, nel 1993 – pochi mesi prima di fare la sua dichiarazione, momento in cui il ricordo degli eventi doveva essere fresco.
Ecco un altro tweet di Smallcombe:
Prima immagine: la deposizione di Joy Robson del 1993, conferma che la sua famiglia andò nel Grand Canyon, e che Wade non era rimasto da solo con Jackosn a Neverland fino a quell’anno (1993)
Seconda immagine: la deposizione di Joy Robson nel 2016, afferma ancora una volta che “tutta la famiglia”, tra cui Wade, prese parte alla gita al Canyon.
Ecco qui un articolo con informazioni aggiuntive.
Lisha: Quindi le informazioni presentate nel documentario non possono essere prese per buone. Come facciamo a sapere se i contenuti del film sono veritieri?
Willa: È una bella domanda, Lisha. Forse riusciremo a capirlo quando verranno raccolte altre prove. Allo stesso modo, mi auguro che informazioni come questa costringano finalmente i media a voltarsi indietro e rivalutare tutti gli elementi delle accuse, e  prendere in esame le reali prove, questa volta.
Lisha: Lo spero anch’ io.
Willa: Sfortunatamente, ho la sensazione che sia solo una fievole speranza. Qualche settimana fa ho parlato con un amico che per molti anni è stato caporedattore del giornale locale e ora insegna giornalismo al college. È davvero una bella persona e lo stimo molto, e mi ha detto che, sinceramente, da tempo ormai ha respinto l’idea di raffigurare Michael Jackson come un mostro, indipendentemente dal fatto che molestasse o meno i bambini. Ha detto che non gli interessano le prove relative a questo o quel particolare. Il suo giudizio di fondo su Michael Jackson è solido e probabilmente non sarebbe cambiato.
Temo che molte persone, compresi altri giornalisti, la pensino così. Ad esempio, ho la sensazione che i media non siano interessati alle prove. Invece, una condanna quasi universale di Michael Jackson ha avuto già luogo, come la denigrazione pubblica di ogni individuo che osa difenderlo.
Lisha: Penso che sia per questo che dobbiamo rivedere le cose da una prospettiva diversa e dare una dimensione culturale del film, invece di cercare di valutare ogni piccolo elemento di prova.
Willa: Hmmm … penso che valutare le prove sia molto importante, ma questo è un buon punto, Lisha. Forse la cosa più giusta sarebbe che venissero considerati tutti gli elementi di pari passo.
Lisha: Sì, sono d’accordo. Rivelare i fatti è essenziale. Ma quale è l’impatto del film a livello culturale – quattro ore di resoconti drastici su atti di pedofilia – per generare tanto entusiasmo? Perché un prodotto cinematografico come questo suscita tanta attenzione?
Personalmente la parte più oscura di Leaving Neverland è stata l’implacabile e sensazionale copertura mediatica. Non me l’aspettavo proprio. Ma, proprio a causa dell’unica voce dei media acritici, sembra che niente sia cambiato dopo ciò che è stato appreso su questi casi negli ultimi sei anni.
I casi Robson / Safechuck sono già stati archiviati due volte, senza una decisione. Le principali agenzie di stampa hanno riportato le dichiarazioni sui casi del 2013. Inoltre, Michael Jackson è morto nel 2009! Allora che cosa ha scosso all’improvviso la coscienza pubblica e perché ha provocato una reazione così esagerata?
Guardando indietro alcune analisi precedenti dei media, vedo una storia familiare. Ad esempio, nel 1998 lo studioso dei media John Nguyet Erni descrisse la copertura mediatica di Chandler “grossolanamente semplicistica da un lato e palesemente omofobica dall’altro”, e penso che sia ancora vero. Troppi giornalisti si limitano ad accettare le accuse per buone. E in una cultura che “non si stanca mai di riciclare il mito dei gay come molestatori di bambini”, vediamo ancora una volta restrizioni omofobiche contro Michael Jackson e l’alterità.
Willa: Esatto, non fa una piega.
Lisha: Ma non riesco a capire perché questa storia è tornata alla ribalta. Perché ora?
Willa: È davvero una bella domanda, Lisha. Mi viene da immaginare che potrebbe essere perché le accuse sono state presentate in un film, come una storia, con persone che gli spettatori potevano vedere e provare empatia per loro – ciò che gli psicologi chiamano effetto “vittima identificabile”. Di recente è stato pubblicato un articolo al riguardo su Salon.
Lisha: Grande articolo! Sono sicura che è un pezzo grosso del puzzle.
Willa: Sì potresti aver ragione, Lisha, questo è solo uno dei tanti motivi per cui Living Neverland ha scatenato una tale protesta. Un fattore importante che non deve essere tralasciato. Sembra che noi umani, ci facciamo emotivamente coinvolgere dalle storie. Penso che questo sia uno dei motivi per cui Freud si è servito della mitologia classica per spiegare i tratti psicologici dell’essere umano. (Ci sono Eros e Narciso, Edipo ed Elettra, …) Siamo noi umani che creiamo le storie, e poi le storie creano noi. Nel corso del tempo le storie hanno influenzato la nostra immaginazione, la nostra cultura e ci hanno permesso di capire meglio noi stessi. Di conseguenza, le storie ci coinvolgono attraverso le emozioni che spesso non riusciamo a capire.
Così la visione di un film come Leaving Neverland in cui un altro essere umano racconta un’esperienza traumatica – anche se la storia è in giro da qualche anno, come le dichiarazioni di Robson e Safechuck – risveglia le nostre emozioni e la nostra reazione è completamente diversa nel leggere una relazione su un processo, anche se il contenuto è lo stesso.
Lisha: È vero il film è interamente basato sul coinvolgimento affettivo ed emotivo, una modalità molto diversa di elaborare informazioni rispetto, alla lettura di documenti legali. Anche se il contenuto è lo stesso, un film permette allo spettatore di valutare informazioni non verbali, che possono essere molto potenti.
Willa: Concordo in pieno.
Lisha: Ho scoperto che Untouchable, il film su Harvey Weinstein, ha lo stesso approccio. Ha debuttato insieme a Leaving Neverland al Sundance ed è incentrato sempre sulle rivendicazioni degli accusatori. Ecco la recensione di un critico:
Le storie sui giornali e riviste possono fornire i dettagli, ma il cinema, un mezzo basato sull’immagine e sul tempo, ha una marcia in più della stampa. Permette di stare vicino alle vittime e diventare testimoni mentre parlano delle loro esperienze.
Willa: Sì, è un buon commento. E questo processo mentale tra il pubblico e la vittima ci pone in una posizione scomoda e allo stesso tempo molto potente: può costringerci ad affrontare la dura realtà, liberare forti emozioni e possibilmente portare a importanti cambiamenti sociali. Ma la violenza di queste emozioni può anche metterci nei guai.
Lisha: Assolutamente. Ho notato che il movimento #MeToo si sta trovando un po’ nei guai in questo momento – siamo incoraggiati a “credere alle vittime” e allo stesso tempo subliminalmente esortati a mettere da parte la nostra capacità di pensare in modo critico. Alcuni hanno persino cercato di spiegare l’improvviso interesse per Leaving Neverland come parte del movimento #MeToo. Ma tendo a pensare che se così fosse stato, ci sarebbero state molte più reazioni a Untouchable e all’imminente processo di Harvey Weinstein: un essere umano vivente e che respira.
Willa: Le diverse reazioni a Untouchable e Leaving Neverland sono piuttosto sorprendenti se le metti fianco a fianco, Lisha. Credo che tu abbia ragione sul fatto che c’è in gioco qualcosa di più sottile – qualcosa che provoca una reazione emotiva molto più forte verso gli accusatori di Michael Jackson che a Weinstein.
E ancora una volta, dovremmo stare attenti a giudicare la veridicità di una storia sulla base delle nostre reazioni emotive. Solo perché una storia è convincente non significa che sia vera. Alcune delle nostre storie più drammatiche e strazianti sono fittizie. Ma siccome ci toccano profondamente, in qualche modo si percepiscono vere.
Lisha: Sì, esatto. A livello psicologico, le storie che immaginiamo sono processate come se fossero reali.
Willa: So cosa vuoi dire. Questo genere di finzione può trattare fatti psicologici importanti, anche se la storia è di pura fantasia. In effetti, a volte la finzione assume una connotazione densa e la nostra risposta emotiva è come se fosse aderente alla realtà.
Recentemente ho visto Never Look Away, un film incredibile sulla capacità dell’arte di esprimere verità che forse nemmeno l’artista può comprendere. In un recente articolo, Florian Henckel von Donnersmarck, il regista di Never Look Away, dice che “attenersi alla cronaca reale dei fatti può indebolire un racconto. Se Citizen Kane (il film di Orson Welles) si fosse chiamato Citizen Hearst, forse non avrebbe avuto la stessa forza”.
Lisha: Interessante!
Willa: Lo penso anche io. Questo commento mi ha davvero colpito. I registi, attraverso la narrazione di una storia, cercano di coinvolgere emotivamente il pubblico: un’operazione molto complessa viene fatta per influenzare il nostro subconscio. E queste emozioni possono fornire spunti importanti, ma possono anche indurre in errore.
Ad esempio, le emozioni possono generare una sorta di “mentalità di gregge” che trascina le persone. Penso che questo sia uno dei motivi per cui Michael Jackson ha guardato To Kill a Mockingbird (Il buio oltre la siepe) più e più volte durante il suo processo – per capire il meccanismo psicologico della “mentalità di gregge”, soprattutto quando una persona nera è accusa di un crimine sessuale da un uomo bianco. Sembra quasi che in una tale esperienza gregaria, sia impossibile convincere la massa a riflettere un attimo e non giudicare prima che le prove siano state adeguatamente valutate.
Lisha: La storia è piena di questo tipo di fatti e prodotti culturali – mi viene in mente Birth of a Nation – mostrando quanto facilmente cadiamo nella trappola delle narrazioni culturali e nella spirale del cortocircuito emotivo. Living Neverland è stato creato per scatenare delle forti reazioni emotive ed è diventato un tentativo di dipingere Michael Jackson come un “diavolo popolare stereotipato”, per usare un’espressione del sociologo Stanley Cohen. Poiché questa demonizzazione di Michael Jackson in una sorta di processo mediatico include anche la censura della sua musica, penso che dovremmo essere vigili nell’affrontare questa attuale situazione storico-culturale. La rimozione dell’arte della musica è un processo molto oscuro.
Willa: Beh, è ​​un argomento complicato. Sono d’accordo sul fatto che dobbiamo stare attenti a cogliere i segni della “mentalità di gregge”. L’effetto gregge è spaventoso, soprattutto dal vivo, ma anche in rete. Ed è problematico che non ci sia stata quasi nessuna discussione sulle prove reali o nell’esporre punti di vista diversi. Per un po’, sembrava che l’articolo di Joe Vogel su Forbes fosse l’unico ad avere un pensiero critico contro Leaving Neverland e contro l’immagine troppo familiare di Michael Jackson come predatore sessuale di giovani ragazzi bianchi.
Ma ad essere onesta, posso capire perché la maggior parte del pubblico di Leaving Neverland è oltraggiato e solidale con Wade Robson e James Safechuck. Ho una cara amica che è stata vittima di abusi sessuali più di 40 anni fa e ancora oggi la sua personalità è condizionata con una ripercussione su ogni aspetto della sua vita. È stata una ferita psicologica molto profonda. Non ci sono parole per descrive le conseguenze da lei subite. Ho un’altra amica che un giorno ha scoperto che suo marito aveva abusato sessualmente dei suoi due figli. Mi ha detto che quella mattina era andata a lavorare con la convinzione di avere un matrimonio forte e una famiglia felice, e alla fine della giornata tutte le sue certezze erano crollate.
Lisha: È straziante, Willa.
Willa: Ecco è traumatico, devastante e completamente intollerabile. Mi ha detto che continuava a chiedersi: come ho fatto a non accorgermene? Come ho potuto fraintendere mio marito come allegro e felice estroverso quando il lato oscuro albergava dentro di sé? Come ho potuto fraintendere il suo rapporto con i nostri figli? Ha davvero perso la fede nella sua conoscenza della natura umana e non sono so se si riprenderà mai completamente da esso.
Lisha: È incredibilmente triste perché le persone che commettono questi crimini non sono orgogliose del loro comportamento e fanno di tutto per nasconderlo. Senza dubbio questo è stato accuratamente nascosto, specialmente da lei.  Purtroppo, una madre spesso si sente colpevole per non aver capito i primi segnali e non aver sufficientemente protetto il figlio – uno stereotipo culturale che merita più controllo.
Willa: È vero, questo è ciò che vediamo anche in Leaving Neverland.
Lisha: Sfortunatamente, sì.
Willa: Ad ogni modo, il punto è che ho sperimentato come l’abuso sessuale può lacerare le persone, non solo le vittime, ma anche le loro famiglie, e ho visto l’effetto a lungo termine che può avere nella profondità della psiche di una vittima. Quindi posso capire perché la maggior parte delle persone che hanno visto Leaving Neverland sono sconvolti e provano sentimenti di rabbia e disgusto.
Lisha: Posso naturalmente capire chi prova compassione per qualcuno che soffre e che vuole aiutare chi è diventato una vittima. È naturale offrire un supporto e tutto l’aiuto possibile.
Willa: Sì, lo penso anch’io.
Lisha: Ma c’è anche l’altra faccia: le vittime di false accuse. Ciò che non viene affrontato in Leaving Neverland per me, è il riconoscimento di una maggiore attenzione che è stata posta allo studio dell’abuso sessuale sui minori, dagli anni Ottanta in poi, come ricordo. Quindi, non è un problema sociale che abbiamo nascosto o fatto finta che non esista. Siamo stati inondati di tutti i tipi di informazioni sugli abusi sessuali su minori. Oprah da sola dice di aver realizzato 217 programmi televisivi sull’argomento. A volte, il grande interesse per l’argomento ha suscitato il panico estremo e l’isteria. Secondo Mike Lew, autore di Victims No Longer (un libro consigliato da Wade Robson sul suo sito Web): “Bisognerebbe vivere come un eremita per non sapere della realtà degli abusi sessuali sui bambini …”
Accanto a questa sempre più consapevolezza degli abusi, c’è anche la consapevolezza di quanto possano essere distruttive le false accuse. Proprio come nei casi di abuso, le false accuse possono rovinare vite umane e distruggere le famiglie. Quindi queste accuse devono essere oggetto di un’indagine molto accurata.
Willa: Sì, specialmente se l’accusatore è bianco e l’accusato no.
Lisha: Perfetto, ecco la parola chiave! La razza complica questa discussione in modo esponenziale, specialmente quando si tratta di accusare i neri di violenza sessuale contro i bianchi.
Willa: È proprio così. Sono nata e cresciuta nel sud, quindi mi rendo conto che quei potenti sentimenti di rabbia e indignazione possono essere manipolati, specialmente contro gli uomini di colore. Ripetutamente nel corso della storia americana, gli uomini bianchi hanno accusato i non bianchi o uomini di altre razze di abusi sessuali su donne e bambini bianchi, e poi hanno usato la sproporzionata paura e rabbia che ha portato a guadagni politici e finanziari.
Ad esempio, durante il colonialismo, questa strategia è stata usata contro gli indiani d’America per giustificare la violazione dei trattati e la confisca delle terre indiane. I coloni bianchi hanno creato storie sugli indiani che rapiscono e abusano donne e bambini bianchi, causando una forma di panico collettivo, e poi sono state usate come giustificazione per allontanare gli indiani da terre che erano loro di diritto. Questa strategia ha avuto un effetto particolarmente interessante: ha permesso ai coloni bianchi di ritrarre se stessi come vittime, anche se hanno usato violenza contro gli indigeni e hanno tolto loro la terra.
Una strategia simile fu adottata negli anni Ottanta del XIX secolo contro gli immigrati cinesi e contro gli immigrati messicani negli anni Trenta (così come nelle elezioni presidenziali del 2016) per modificare la politica sull’ immigrazione. Ed è stata rivolta contro gli uomini neri per generazioni. Migliaia di uomini di colore liberati sono stati linciati nei decenni successivi alla ricostruzione, e una falsa accusa di molestia sessuale è stata spesso la giustificazione per istigare rivolte di massa, distruggere imprese e comunità nere di successo e confiscare proprietà nere.
In un opuscolo del 1892, Southern Horrors: Lynch Law in All Its Phases, la giornalista Ida Wells sottolinea che anche questi crudeli linciaggi avevano anche uno scopo politico generale: sopprimere i neri liberati, specialmente i neri, dopo l’abolizione della schiavitù. Wells continua ad avvertire i suoi lettori che le false accuse di stupro per giustificare la violenza bianca contro i neri sono diventate così diffuse che “sembra giustificato etichettarci come una razza di stupratori”. (A proposito, grazie a Eleanor Bowman per aver condiviso l’opuscolo di Wells con me. Ho imparato molto da questo. Se qualcuno è interessato a leggerlo, il testo completo è disponibile qui.)
Sfortunatamente, penso che la previsione di Wells si sia in qualche modo realizzata: nel corso dei decenni questa narrazione è stata etichettata “una razza di stupratori” nell’immaginario collettivo. Così ora, molti americani bianchi vedono i neri e altri uomini di colore come predatori sessuali. Questo stereotipo ha un impatto enorme su come i bianchi percepiscono gli uomini neri accusati di abusi sessuali su donne e bambini bianchi e su come reagiscono ad essi. Ma penso che molti americani bianchi o non se ne rendano conto o non vogliono ammetterlo.
Lisha: Risulta parte viscerale della narrazione
Lisha: Le narrazioni culturali fanno parte integrante nella vita quotidiana che raramente ce ne rendiamo conto, almeno fino a quando non vengono messe in discussione. È importante sottolineare che l’industria della cultura (ad esempio musica e il cinema) è un settore in cui il mito e lati oscuri di questa espressione culturale sono continuamente riproposti (e talvolta messi in discussione). Questo è uno dei metodi per mantenere i privilegi della cultura di riferimento.
Willa: È vero.
Lisha: Questo mi ricorda un recente articolo su Leaving Neverland che tratta tematiche sul pregiudizio cognitivo compreso il pregiudizio razziale, e spiega l’influenza che possono avere sulla reazione del pubblico al film. Si intitola “How Your Judgment Can Be Skewed About the Michael Jackson Documentary” ed è stato scritto da uno psichiatra, il dott. Srini Pillay. Pillay dice di aver avuto difficoltà a trovare un editore per questo lavoro perché non era in linea con le storie dei grandi media sul film. Naturalmente, si rende conto che questa è una prova di quanto sia pervasivo il pregiudizio cognitivo!
Willa: Lo è davvero, soprattutto perché si tratta di un articolo di un certo spessore oltre che una fonte autorevole: uno psichiatra di Harvard e studioso del cervello. Certo, la dice lunga che non è riuscito a trovare un editore.
Lisha:  Credo che l’informazione a senso unico dei media, sia un campanello di allarme, e di pericolosità per la società. E vorrei guardarmi intorno cercando di cogliere informazioni apparentemente nascoste per accedere ad altre possibilità e nuove prospettive.
Pillay indica le manifestazioni di pregiudizio, sia nelle forme palesi che in quelle più occulte. Per esempio il documentario è “basato solo e esclusivamente sui racconti degli accusatori bianchi e una unilateralità di veduta” mentre il colpevole nero non solo non ha voce, ma è morto”. Secondo me è un esempio di pregiudizio razziale di forma palese.
Ma c’è anche una manipolazione subdola. Quello che mi ha sorpreso di più è stato uno studio sulla “demonizzazione e criminalizzazione postuma” degli uomini neri, che dimostra come “il rischio di sperimentare pregiudizi razziali è notevolmente aumentato per gli uomini neri, soprattutto dopo la loro morte”.
Willa: Ha sorpreso anche me.
Lisha: Penso che sia incredibilmente importante, se si considera che Michael Jackson è morto da quasi dieci anni.
Willa: Sì. Non avevo immaginato che gli effetti del “pregiudizio razziale” si riflettessero a danno dei neri dopo la loro morte. Hanno già sofferto così tanto nella loro vita! Ma ho in mente Martin Luther King Jr, per esempio, e tutto ciò che è stato fatto per infangare la sua immagine pubblica e il suo operato dopo la sua morte, come i resoconti sulle relazioni extraconiugali. Perché è stato reso pubblico, come mai?
Lisha: Questo è un esempio perfetto! La lotta per l’eredità del Dr. King ha riscoperto un vecchio (e ancora attivo) mito culturale dell’uomo nero violentemente ipersessuale, e questo persistente mito ritorna nella battaglia per l’eredità di Michael Jackson.
Willa: Sono assolutamente d’accordo.
Lisha: Pillay descrive anche i pregiudizi nei confronti delle persone di successo, come il Dr. King. Il Rev. Jesse Jackson ne ha parlato in un’intervista a Bill Maher nel 2005, su Michael Jackson: “che tu sia Jack Johnson o Paul Robeson o Martin King o Mandela, quando i neri raggiungono posizioni di alto livello, sono al centro del mirino. Michael sente di essere un facile bersaglio.”

Bill talking about Michael Jackson with Rev. Jesse & the Panel

Willa: Sì, è una buona osservazione. È come l’effetto A Star is Born, in cui si ripete la storia di una persona di vero talento che diventa una celebrità, ottenendo un grande successo, e dopo una rapida ascesa poi c’è la rovina. Una storia che si ripete all’infinito. E questo succede spesso per le persone nere di successo. Come disse lo stesso Michael Jackson in un’intervista del 2005 a Jesse Jackson, “c’è un piano per colpire le personalità di colore”.
Lisha: È praticamente il passatempo nazionale del momento: la “rapida e improvvisa caduta in disgrazia”.
Willa: Esattamente. Nel video che hai condiviso, Lisha, Jesse Jackson descrive un altro fenomeno importante: Jack Johnson, Muhammad Ali e Nelson Mandela sono stati denigrati durante la loro vita, e hanno avuto una riabilitazione della loro immagine postuma.
Allo stesso modo Michael Jackson ha subito lo stesso trattamento in periodi diversi. È stato disprezzato negli ultimi dieci anni della sua vita, poi celebrato subito dopo la sua morte, come è successo a Jack Johnson, Muhammad Ali e Nelson Mandela. Ma ora sembra che ci sia una specie di contraccolpo. È di nuovo ” il mostro che avevi immaginato”, per citare una linea di una sua canzone. È come se non potessimo fare a meno di questo suo ruolo culturale.
Lisha: Sì, hai ragione. È quella “mentalità di gregge” e la necessità di creare un diavolo popolare culturale. Se a questo aggiungi il pregiudizio nei confronti della creatività …il gioco è fatto.
Willa: Esatto, credo che sia una delle parti più interessanti dell’articolo del Dr. Pillay.  Nel senso, basta pensare all’esecuzione popolare del famoso compositore o pittore mezzo pazzo, o pensare a tutte le canzoni o racconti popolari in cui un artista fa una sorta di patto con il diavolo per raggiungere il successo o la sua creatività. Sembra esserci percezioni contraddittorie sulle persone creative – che dovrebbero essere celebrate per il loro talento, invece sembra che ci sia qualcosa di sbagliato in loro. Michael Jackson affronta in modo cristallino questo genere di pregiudizio in Ghosts. Dopotutto, il protagonista è un “maestro” e gli abitanti del villaggio si sentono minacciati dalla sua arte creativa come fosse qualcosa contro la natura umana.
Lisha: Sono molte le leggende metropolitane sugli artisti – come i discutibili avvistamenti e incontri ravvicinati con i numerosi fantasmi. Possiamo creare un sottoinsieme per la musica pop, e intuire facilmente che l’immagine tipica dei musicisti è legata a ________ (sessualmente promiscui, tossicodipendenti, sconsiderati, irresponsabili …). C’è anche lo squallido stereotipo: “Sex, Drugs and Rock-n-Roll”.
Willa: So cosa vuoi dire!
Lisha: Alla fine possiamo dire che sono molto complesse le strategie comunicative che influenzano le reazioni del pubblico di questo film, incluso anche la distorsione del ricordo, che è l’ultimo elemento analizzato da Pillay nel suo articolo. In verità i ricordi, non sono stabili e nemmeno affidabili come si potrebbe credere.
Elizabeth Loftus, psicologa, una delle più importanti ricercatrici nel campo della memoria umana, ha segnalato le accuse di Wade Robson, fin dall’inizio come sospette, soprattutto quando le prime notizie hanno connotato le sue affermazioni come un caso di ricordo represso. Anche se Robson è tornato indietro e detto pubblicamente che i suoi ricordi non sono mai stati repressi, sul suo sito web raccomanda il libro di psicologia popolare, Courage to Heal, che è stato ampiamente criticato per aver promosso la teoria del ricordo represso. La dott.ssa Loftus ne parla specificamente nel suo libro, ma questo è un argomento che merita una discussione più ampia!
Willa: Penso di sì. Sembra che ci sia molto da imparare e molto da disfare su questo argomento! E non vedo l’ora di fare una nuova discussione. È sempre bello parlare con te, Lisha!
FINE

Grazie a Lisha&Willa

Fonte:https://dancingwiththeelephant.wordpress.com/tag/dan-reed/

Traduzione di Grazia28 in esclusiva solo per ONLYMICHAELJACKSON

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